la brezza sospira, gli uccelli stridono
lontano sotto le stelle, il suo eroe dorme
mentre Ala Rossa piange, il cuore lontano.»
Piccolo Albero ha 5 anni quando perde anche la madre, il padre era morto l’anno precedente. Al funerale c’è il nonno che gli posa una mano sulla testa, lo guarda con gravità negli occhi e Piccolo Albero sente che lo deve seguire.
I nonni sono Cherokee e vivono in una capanna di legno nei boschi, in compagnia di una muta di cani e del signor Shakespeare che la nonna legge tutte le sere davanti al camino a lui e al nonno. Piccolo Albero viene educato alla Via, cioè alle regole di vita Cherokee che si sostanziano nel rispetto dell’ecosistema che li circonda: la foresta, il fiume, le montagne e gli animali. Il nonno gli insegna che la foresta è generosa se l’uomo prende solo quello che gli serve per sopravvivere. Piccolo Albero impara a riconoscere le impronte degli animali, le bacche commestibili, le erbe per medicare, il nonno gli insegna a cacciare, a pescare, a coltivare l’orto a piantare il mais, con il quale distillano il Whisky. La nonna invece si occupa della cultura in senso stretto, leggendogli i classici e costringendolo a imparare cinque parole nuove dal dizionario ogni settimana.
Piccolo Albero è felice, i nonni gli vogliono bene, impara ogni giorno cose nuove, addirittura scova un nascondiglio vicino al fiume che diventa il suo luogo segreto, finché un giorno i servizi sociali si fanno vivi e sostengono che non può più stare con i nonni, perché non hanno le carte in regola e sono dei selvaggi. Il suo destino è finire in un orfanotrofio. Cosa possono fare i nonni? Ribellarsi alle regole? Fuggire? Il destino di Piccolo Albero però non è l’orfanotrofio, è scritto nel suo nome e il bambino lo scoprirà presto.